La frase che lo rappresenta:

Qualsiasi cosa è difficile, non so se ce la faccio!

(P. Baroncini)

Anche se la personalità melancolica era stata descritta già all’inizio del XX secolo dallo psichiatra Ernst Kretschmer, il DSM-IV esclude i Disturbi di Personalità Depressivo e Passivo-Aggressivo. In realtà tali diagnosi sono così importanti nel lavoro clinico che il DSM-V (pubblicato nel 2013) dedica loro uno spazio, ma non sono ancora disponibili i dati epidemiologici.

In generale le persone con un disturbo di Personalità Depressivo sono pessimisti, anedonici e cronicamente infelici sempre cupi, preoccupati e sofferenti. Essere contenti di sé, è qualcosa di immeritato che genera senso di colpa, trovano difficile trovare qualcosa nella loro vita che li possa rendere felici, speranzosi o ottimisti. È probabile che denigrino il loro lavoro, sé e le loro relazioni con gli altri; sono autocritici, sprezzanti con forti sensi di inadeguatezza. Hanno la convinzione inconscia che le sofferenze siano un segno di merito. Questo disturbo di personalità di solito non causa disfunzione sociale di conseguenza riescono a lavorare e avere delle relazioni sociali anche se limitate.

Una classica descrizione della personalità depressiva venne fornita nel 1963 da Arthur Noyes e Lawrence C. Kolb:

“Avvertono solo in piccola parte la normale gioia di vivere e sono inclini a essere solitari e seri, malinconici, sottomessi, pessimisti e autodeprecatori. Tendono a esprimere rimpianto e sentimenti di inadeguatezza e di disperazione. Sono spesso meticolosi, perfezionistici, eccessivamente coscienziosi, preoccupati del lavoro, sentono fortemente la responsabilità e sono facilmente scoraggiati in nuove condizioni. Temono la disapprovazione, tendono a soffrire in silenzio e forse a piangere facilmente, benché di solito non in presenza di altri. Una tendenza all’esitazione, all’indecisione e alla cautela tradisce un sentimento inerente di insicurezza”.

Criteri di esclusione: se manifestano in modo costante gioia, entusiasmo e orgoglio di sé nelle diverse aree della vita (lavor, famiglia, sociale). Se tendono a essere coinvolgenti, brillanti che trascinano gli altri.

Segnali sociali: i segnali sociali negativi sono ingiganditi, vissuti pienamente, mentre i segnali positivi sono svalutati o dati per scontati o valorizzati sotto l’aspetto negativo come ad esempio la fatica. Valorizzano maggiormente le persone che condividono con loro un disagio o una fatica o un’incertezza.

Il meccanismo relazionale è legato alle avversità reciproche più che alle conquiste o alla realizzazione di sé.

Si parla di Stile di Personalità quando la persona esprime molta sensibilità e delicatezza nel cogliere le difficoltà dell’altro, ma sa anche godere sufficientemente degli aspetti positivi della vita.

Si parla invece di Disturbo di Personalità quando la persona non riesce a godere di alcun evento o elemento della realtà.

LA PERSONALITA’ PATOLOGICA ha tre componenti:

1- scarsa stabilità sotto stress;
2- scarsa flessibilità adattiva;
3- tendenza a coinvolgersi ripetutamente in processi che perpetuano le stesse difficoltà, senza possibilità di apprendere dall’esperienza metodi per evitare di ricadere nelle situazioni problematiche.

È necessario quindi che, per parlare di stile di personalità e non di disturbo, la persona sia in grado di non ricadere negli schemi ripetitivi che conosce, ma di costruire delle strategie alternative che considerino l’esame di realtà e l’esperienza vissuta dall’altra persona. Fermare il proprio pensiero automatico e integrarlo con gli elementi della realtà permette un adattamento flessibile al contesto esterno e una maggiore capacità di gestione dello stress. Quanto detto non significa abbandonare i propri schemi, che comunque sono serviti in passato per proteggerci, ma imparare ad utilizzarli con una maggiore flessibilità nella relazione con l’altro.

La psicoterapia aiuta l’individuo a ristrutturare profondamente la propria personalità per apprendere nuovi modi di percepire e di relazionarsi alla realtà.

Dott.ssa Patrizia Baroncini L. D.